che lavoro vuoi fare da grande?

A tutti almeno una volta quando eravamo bambini, qualcuno ha posto la fatidica domanda “che lavoro vuoi fare da grande?” Diversi episodi accaduti di recente mi hanno fatto riflettere (che strano!!!) sul senso di questa frase.

Leggevo delle polemiche di un ragazzino liceale, su un gruppo facebook, rispetto all’organizzazione dell’alternanza scuola/lavoro che definiva un’esperienza inutile, una semplice perdita di tempo. Alle lamentele sollevate dal giovane studente, mi sono permessa di rispondere che nessuna esperienza è da considerarsi inutile e ancor meno una perdita di tempo. Lui raccontava che spesso l’attività si riduce ad un “utilizzo” dei ragazzi solo per fare fotocopie e portare caffè, mentre lui riteneva che, in primo luogo, l’azienda in cui svolgere l’alternanza debba avere attinenza con l’indirizzo di studio, in secondo luogo, che l’attività assegnata agli studenti debba essere “più di contenuto”.

Ho cercato di far capire al ragazzo che il senso e il valore di ogni esperienza non deve necessariamente essere intrinseco all’esperienza stessa, ma che spesso dipende dal modo in cui noi la viviamo: siamo noi a darle valore.

Entrare in una azienda può essere formativo, anche solo ascoltando e osservando quello che vi succede e traendone poi delle conclusioni, facendoci sopra delle osservazioni.

Il ragazzo auspicava che, l’azienda prescelta per ciascun studente, lavorasse nel settore di studi dei vari ragazzi, insomma fosse una sorta di anticipo del loro futuro lavoro. E io mi chiedo se ancora oggi abbia un senso chiedersi quale lavoro si farà da adulti. Innegabilmente e sotto gli occhi di tutti, il mondo del lavoro ha vissuto e sta vivendo degli enormi cambiamenti: dalla crisi economica degli ultimi 9/10 anni, molti degli assunti basi su cui si fondava il lavoro, il “buon lavoro”, sono andati scomparendo.

Siamo caduti nello sconforto più totale quando concetti come “assunzione a tempo indeterminato” (un must nei decenni passati per sentirsi economicamente tranquilli!!) sono stati sostituiti da “assunzione a tempo determinato”, “contratti a progetto” e via dicendo. Constatare che nessun ambiente di lavoro oggi sia da ritenersi porto-franco, ha suscitato per anni (in molti lo suscita ancora!!) timori e preoccupazioni.

Perché tutto questo? A mio parere perché ben radicato nella natura umana, alberga una sorta di predisposizione naturale alla lamentela, una reticenza rispetto alle novità semplicemente perché implicano lavoro: mentale e fisico. Dobbiamo abbattere i muri che per cultura sono stati costruiti e questo non è semplice. Il mondo del lavoro costituiva (per proseguire con la metafora del muro) una muraglia parecchio cementificata, composta da varie mattonelle; una muraglia che ci circondava e ci proteggeva da quello che c’era fuori, ci dava sicurezza. Poi è arrivata la crisi…

Un lungimirante e avanguardista signore di nome Albert Einstein, affermò che “E’ nella crisi che sorge l’inventiva, le scoperte e le grandi strategie. Chi supera la crisi supera sé stesso senza essere superato. Chi attribuisce alla crisi i suoi fallimenti e disagi, inibisce il proprio talento e dà più valore ai problemi che alle soluzioni. La vera crisi è l’incompetenza. Il più grande inconveniente delle persone e delle nazioni è la pigrizia nel cercare soluzioni e vie di uscita ai propri problemi.”

La crisi ha distrutto quella muraglia, mettendoci davanti agli occhi quello che stava fuori, facendoci sentire esposti alle intemperie, non protetti. I meno audaci, i meno ottimisti, i meno inventivi si sono arresi, soccombendo; altri, approfittando dell’assenza delle mura, hanno osservato il mondo, lo hanno analizzato, per comprendere di cosa realmente ci fosse bisogno. I lavori tradizionali, molti, sono stati reinventati, soprattutto con la massiccia divulgazione di un utilizzo a larga scala e nel quotidiano dell’informatica. Adeguarsi e reinventarsi sono quindi diventati concetti chiave per non soccombere. Capire in che direzione si sta andando, formarsi in modo continuativo per essere sempre al passo con i tempi, adattarsi alle varie situazioni, diventano caratteristiche fondamentali nel mondo del lavoro. Oggi i contenuti, che ormai, a differenza di decine di anni fa, sono accessibili a tutti, devono essere coadiuvati da predisposizioni e atteggiamenti che a scuola ancora non si apprendono. Se 50/70 anni fa, a fare carriera e ad avere lavori di prestigio erano solo le persone che erano state scolarizzate, oggi si deve andare oltre per distinguersi dalla massa. E così, la muraglia lavoro è stata sostituita da una meravigliosa veranda di vetri mobili: la trasparenza del materiale ci permette di non perdere contatto con quello che sta fuori e la mobilità dei vetri di muoverci da dentro a fuori e viceversa, facendo sì che dentro si possano portare le cose significative che stanno fuori e fuori le cose significative che stanno dentro. In una condizione di mobilità che, una volta compresa, accettata e digerita, ci permetterà di vedere tutti gli aspetti positivi che reca in sé.


Chiara Motti

manager counselor, life coach, human-resource manager